Era il 1985, in quel periodo negozi come le Pamplemousse, Parisotto, Carla G. a Bologna o Altamoda a Modena erano ben più che semplici boutique, erano luoghi d’incontro, dove confrontarsi sulla moda, sulla musica sull’arte, il cinema, in una parola si parlava di tendenze.
Spesso i commessi erano amici e spesso tornavo a casa con capi d’abbigliamento che mi venivano prestati: “Così ci fai pubblicità” dicevano.
Il mio amico parrucchiere, sperimentò su di me un rosso particolare, lo fece in un giorno preciso in cui il salone era frequentato dalle sue clienti più coraggiose, quelle cha avrebbero potuto osare un colore in testa così acceso.
Ho sempre avuto la passione per l’usato, il Vintage che ora impazza, ma allora non c’erano negozi e le occasioni le trovavi o nei mercatini come la Montagnola a Bologna o San Martino in Rio, o negli armadi della nonna. Il mio primo ed unico Chiodo risale a quel periodo lo comprai a Firenze al mercatino di San Lorenzo. Mi piaceva moltissimo l’odore della pelle, era foderato di rosso, ricordo che gli tagliai un pezzo delle maniche che erano troppo lunghe. Lo portavo con un cinturone in vita e non me ne separavo mai sia in estate che in inverno.
In quello stesso periodo da Londra arrivavano le cose più interessanti come i Doc Martens, i miei, 20 buchi rigorosamente neri, che prima di poterli usare sono serviti diversi trattamenti di ammorbidimento di gruppo. La procedura consisteva nell’ingrassarli e poi saltarci sopra fino a che la pelle non si fosse ammorbidita quel tanto per non trasformare i piedi in dolorose estremità.
Vestirsi di nero e frequentare certi club musicali nascondeva un messaggio di ribellione e di identificazione ben preciso. Erano gli anni in cui nascevano le prime collezioni d’abbigliamento auto prodotte, spesso disegnate e confezionate homemade. Le case si trasformavano così in piccoli ma creativi laboratori artigianali.
Il 1985 è l’anno in cui nasce anche il Pitti Trend a Firenze, un’ottima occasione per chi voleva far conoscere la propria linea, dove sicuramente si potevano creare interessanti contatti e dove c’era sempre modo di fare festa. I giapponesi si scatenavano con le loro macchine fotografiche e molto probabilmente molti di noi stilisti, che in quei giorni di fiera eravamo tutti là, siamo stati pubblicati nelle foto di ricerca delle loro riviste, quelle che si sfogliano al contrario.
Erano anni in cui potevi permetterti di uscire solo drappeggiandoti addosso un tessuto, o sperimentando gli abbinamenti più azzardati, tanti gli stilisti italiani emergenti, trai quali mi lasciai affascinare da Romeo Gigli e dalle sue donne concettuali poetiche e minimaliste.
Poi c’era la destrutturazione degli stilisti giapponesi, il rap oltreoceano, tutto si muoveva si contaminava e mutava alla velocità della luce, tutto era permesso, tutto era innovazione e creatività.
E mentre un giovane Gautier con qui potevi ballare al Bain Douche di Parigi regalava alle sue estimatrici le sue Clarks con il tacco a rocchetto una magica sinergia e un filo invisibile muoveva in un mondo parallelo un onda di persone, stesse antenne, stessi luoghi, stessa musica, stessi viaggi unendoli per sempre nell’anima.
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